Critica Gianfranco Ferlisi

Juil 2024 | Critica d'arte

« Svelarsi e Rivelarsi »

 

Ed ecco come una sfera può diventare l’inizio del percorso espressivo chiaro e originale di un’artista: una sfera che nulla ha a che fare con la geometria euclidea perché la dimensione in cui Alessia ci fa entrare è quella della bellezza e dello spazio in cui questa si cela e si manifesta, in opere che si danno come testo iconico della sua esperienza. È così che la creatività diventa dimensione poetica, guida alla molteplicità infinita dell’universo estetico. Spazio, tempo, valori, emozioni: li cerchiamo ora in Alchimia sferica e nei suoi cerchi concentrici, fatti di pure geometrie e di sentori danteschi. È tra queste bolge che Alessia indaga l’entropia possibile del movimento, la trasformazione che si modifica costantemente in una struttura sempre diversa e perfetta, calando nelle sue immagini una componente narrativa e letteraria: è la necessità di appropriarsi di un linguaggio più connotativo che denotativo, l’impegno di tracciare un racconto in mutamento, fatto di materia compositiva a tre dimensioni e di colore che qui cerchiamo. Nelle sue opere si leggono le tracce di un interessante e costante lavoro sul proprio e l’altrui vissuto esperienziale, con una ricerca che parla dell’universo – autentico e forse mai soddisfatto – di chi in prima persona sperimenta la complessità del linguaggio, in specifico di quello artistico. Emerge, nell’immagine che osserviamo, una struttura radiocentrica, quasi da pianta di antica città ideale. Ma l’utopia si dissolve nel movimento centrifugo e centripeto che l’opera genera, perché un’opera come questa richiede la medesima apertura mentale di chi si muove e si smarrisce in un’agorà multispaziale, di chi si incanta gettando lo sguardo al centro di un anfiteatro oppure sulla scena di un antico teatro greco, in un luogo dunque d’incontro e di scontro, di finzione e di realtà. Ma quali operazioni vuole compiere l’artista/architetto (Alessia è infatti anche un architetto) con queste immagini? Costruire forse nuove inesistenti città? In realtà le sue vogliono essere semplicemente le opere di un’artista che non può – e non vuole – contraddire del tutto l’origine della sua formazione. Alessia progetta e costruisce opere con i segni dell’arte perché asseconda i segni interiori della sua creatività, mettendo a punto oggetti che si rivelano estetici nella misura in cui l’artista padroneggia il concetto di geometria e lo rende bellezza. Accade la stessa cosa a chi si accinge a un lavoro di scrittura, in cui è essenziale trovare non solo le parole corrette ma anche quelle che portano adeguati e specifici significati. Anche nell’atto comunicativo dell’arte, saussurianamente parlando, occorre infatti distinguere la “langue”, sistema comune di significati e significanti condivisi, dalla “parole”, il linguaggio individuale, personale, con funzione emotiva ed estetico/espressiva. Se tutti gli artisti o gli scrittori usassero solo la “parole”, cioè una serie di segni del tutto individuali, le loro espressioni sarebbero quasi incomprensibili ai più, perché prive di un minimo patrimonio collettivo comune. E dunque nessun atto comunicativo può escludere (almeno in parte) la langue, un minimo di piattaforma espressiva condivisa e collettivo. Quindi è proprio questo che l’arte di Alessia ci trasferisce: un patrimonio di segni resi esteticamente significativi da un linguaggio creativamente individuale ma trasferibile ai più. Ed allora ecco emergere, sulle superfici della nostra artista, le “sue” parole-immagini specifiche, personali e colte: sono reperti senza tempo, che parlano della sua poeticità ma che conservano tracce importanti di una visione universale del mondo dell’arte. Ma osserviamo ora Caos primordiale, per scoprire e comprendere un concetto di entropia che non va inteso nella sua essenza scientifica ma come paradigma artistico. L’opera mi rammenta il caos delle superfici magnetiche di Davide Boriani, con le limature di ferro e il movimento alla ricerca di un introvabile kòsmos (nel senso filosofico del termine). È rimasto, qui, nell’opera di Alessia, solo il ricordo di tale caos primordiale, perché l’armonia lo trasforma in equilibrio immobile, in un ordine immaginifico solido e diverso, autonomo e forte: la sfera gomitolo è rimasta bloccata tra lame di vecchia impiallacciatura, flessibile come lamiera e dipinta a simulare il rame. Ci si inoltra per superfici statiche ma accoglienti, in cui l’arte diventa il gradevole dialogo in cui ci si scioglie e ci si rilassa nella piacevolezza del discorrere. È il filo arrotolato la chiave di volta che porta alla mente anche aspetti della pittura oggetto di Paolo Scheggi, coi suoi dislivelli e le sue interconnessioni: occorre perciò svolgere e riaggomitolare innumerevoli volte quella sfera violacea per trovare la via d’uscita. Rotola, talvolta, la sfera, scivola, disegna traiettorie da pianeta, precipita come un meteorite, riluce come una perla e si cela negli intrecci più oscuri della materia. Nascono dalla sua perfezione le traduzioni 2 meditate dei suoi ipotetici e infiniti possibili movimenti. Occorrerebbe una sfera di cristallo, appunto, per leggere e comprendere tutta l’evoluzione e l’ispirazione estetica di vent’anni di ricerca, per restituire, nei limiti del linguaggio critico, la genesi dell’immediatezza affascinante del suo linguaggio evocativo. Ed evocativo, inevitabilmente, vuole essere anche il mio procedere, che utilizza esempi e che si sofferma là dove una metaforica (o reale) lama di luce si accende. È possibile assecondare e catturare la Forma dell’acqua? Non esiste un forse che sì o un forse che no nella risposta. L’immaginazione creativa di Alessia, nelle sue insondabili ricerche attraverso i suoi fogli di polietilene, i suoi strati acrilici, attraverso i suoi tessuti (veri e propri arazzi costituiti da trama e ordito) ci offre una soluzione originale e inconfondibile, che ci costringe a oltrepassare la realtà oggettiva della materia, delle forme, della soglia, dunque, delle sue stesse immagini. Questa sorta di pitto-scultura diventa così espressione e rivelazione di valori simbolici e si offre quale traduzione visiva e coagulo di significati: è la sintesi consolidata della dinamicità e della velocità di un pensare e di un agire che cercano di catturare la leggerezza e l’inafferrabilità di tutto ciò che ci circonda, la rapidità del suo trascorrere, l’equilibrio che si nasconde nella volubile luminosità delle stelle o nell’infinitesimale essenza della materia che sfioriamo o che quotidianamente tocchiamo. Tuttavia, nell’insondabile inafferrabilità delle cose esiste anche un soffio del divino, con cui l’artista cerca sintonia e connessione. La leggerezza diventa dunque chiave e testimonianza di una tensione verso l’eterno avvicendarsi del comprendere e del sentire, nel susseguirsi delle quotidiane emozioni, nel loro alternarsi, nel loro dinamismo costruttivo, verso una interiorità che non arretra mai di fronte al mistero e alla bellezza del creato. L’artista ne parla, ovviamente, per immagini e forme, per metafore e leggende figurali. Di qui l’esperienza qualitativa e intensa del procedere espressivo di Alessia, in cui si avvertono rimandi, non troppo sotterranei, all’opera come forma formata, come obiettivo finale dell’azione che è sempre gesto intellettuale e sapere, al di là del dato tecnico. Permane, ovviamente, il superamento degli eccessi poveristi e concettuali, del bagno intellettualistico dimentico, talvolta, di un necessario edonismo formale, cromatico e ludico, connesso sempre alla contemporaneità e ai principali fondamenti della nostra cultura italica e occidentale. Resta, al di là d’ogni altra dichiarazione, la volontà fondamentale di rappresentare e, rappresentando, di comprendere il mondo sensibile, con la vita che vi si svolge e di cui ogni opera registra dubbi e paure. Le stesse che vedo affiorare in Armonie sferiche, una composizione polimaterica del 2010. Come negli anfratti delle sue superfici, anche nella realtà della figurazione si pongono ora inquietanti enigmi, quelli suggeriti da cinque sfere che avrebbero dovuto svelare la verità delle cose e che invece diventano inquietante monologo sulla bellezza, sui moniti delle globulari campane silenziose di Magritte (quelle di Pink Bells, Tattered Skies del Reina Sofia per intenderci) che fluttuano fisicamente nell’aria in una sensazione generale di onirica perplessità e di disagio surreale. In Armonie sferiche Alessia mineralizza la sua ispirazione anche nelle forme di una composizione aggraziata. Qui sembra chiedersi: il bello sfugge forse alla morte? Personalmente ritengo che ogni manifestazione di bellezza abbia in sé una buona dose di eternità, e così anche quella che aleggia nella dimensione polimaterica delle realizzazioni o quella che si manifesta sulla finestra non più prospettica della rappresentazione. Sono l’arte e il sentimento del bello che si materializzano su una superficie, a sfidare il male e il tempo: non bastano però la meraviglia o l’incanto seduttivo dell’opera a sottrarci alla precarietà della nostra vita, perché neanche l’arte (e il piacere del suo farsi), per quanto ci regali momenti di trasognamento, può dare garanzie di sopravvivere per sempre. La buona pittura è però anche, e a volte soprattutto, pensiero e i pensieri rimandano comunque alla limitatezza della nostra dimensione e alle molte incertezze dell’ego umano. Nel progetto di Costruire decostruire: tra sogno e realtà (2006) una tecnica mista polimaterica, dotata di una analiticità agguerrita e acuminata, rimanda alle clausole e alle ragioni prime della forma e dello spazio interrogandosi su forma, spazio, materia e colore. Alla freschezza delle costruzioni si aggiunge, sempre più, la maturità di un’energia più forte, più efficace, più vissuta, più sentita, alimentata da una maggiore consapevolezza e da un’autonoma visione del mondo dell’artista. La piccola cornice, le carte sgualcite, le stagnole, i ritagli di giornale fanno intravvedere una struttura personalissima della costruzione, ricca di un nuovo senso di profondità. Ora ci si imbatte in una stratificazione che evoca un addentrarsi in ambiti inesplorati, in un terreno oscuro e singolare. Alessia è giunta ad un suo peculiare e specifico 3 orientamento: riflette e, nel contempo, si diverte e scrive, con arte, del suo universo privato, in cui vengono esplorate acque profonde in cui getta quotidianamente ancore per un impossibile approdo. Il suo sforzo è a volte faticoso perché i pilastri del suo costruire affondano nelle terre instabili delle vicende oniriche dell’arte, un terreno quanto mai insicuro e mutevole. Ma questo fa parte delle regole del gioco. Ormai l’approdo di questa sorta di pitto-scultura polimaterica, affrontata su supporti lignei, con l’uso di policarbonato, di legni, di metalli, di tessuti e carta, è definitivamente un’operazione contemporanea di superamento della vecchia pittura, ibridata dal saper porre, nel progetto, la testa e la fantasia, lo sguardo e il cuore. E allora si comprende veramente come le opere dell’artista chiedano, innanzitutto, di essere guardate con la grazia della semplicità, con la leggerezza di una libera osservazione, col sostegno della cultura, con l’abbandono agli impulsi dei sentimenti. È proprio tenendosi in equilibrio su questo crinale che il dipanarsi del percorso di Alessia si rivela e riesce a far emergere il suo passato/presente/futuro: è così che se ne comprende la ricchezza, la potenzialità, l’unicità. È così che, in ogni prova che quest’artista affronta, compare forte il pathos, affiora la musicalità, si sottintende il messaggio costante del suo saper essere. Nella necessaria sintesi del mio racconto visivo sulle opere di questa artista spero si comprenda, alla fine, che occorre, di fronte alla sua arte, lasciarsi andare, innanzitutto, alle emozioni e poi alla complessità dei riferimenti che tale arte sottintende. In questo modo si riconosce l’impulso che ha generato il progetto dell’artista e l’ampio spettro della sua cultura, vasta e densa di esperienze vissute: nello sfondo persiste sempre una passione in cui si alternano lo sgretolamento di certezze e la forza di nuovi inizi. Perché al centro di tutto il percorso c’è sempre la donna/artista, con le sue debolezze, con la sua affascinante complessità, con la ricerca sempre insoddisfatta di nuovi limiti e di nuove elaborazioni. E ci sono ancora, particolarmente evidenti, l’aspirazione ad una rinascita estetica, la volontà di rivincita sul tempo che corre troppo rapidamente, la ricerca di nuove e personali prospettive. Simboli, segni, forme, scritture evocative: le opere di Alessia Tortoreto mirano a portare con un nuovo specifico linguaggio là dove le parole non arrivano. E forse si diventa veramente artisti proprio quando si comprende che l’arte può avere un valore aggiunto rispetto al linguaggio parlato, quel valore aggiunto che consiste più in ciò che è suggerito e sotteso che in ciò che viene definito da una condivisa e inequivocabile comunicazione.

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Tutto sull’artista

Alessia Tortoreto

« Artista e Architetto »   Nasce a Varese nell’ottobre del 1967 dove vive e lavora. Sin da piccola coltiva l’interesse per l’arte, lavorando al fianco della zia materna che le insegna le tecniche di pittura e modellazione della creta arricchendo le sue conoscenze tecniche nel frequentare laboratori artistici, nei quali può apprendere le metodologie di lavorazione, […]
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