“Padre”
Appena sono risuonate parole come universalità, missionario della speranza, multiculturalismo, ho cercato attraverso il quadro del Maestro, Giuseppe “Eternita”, un percorso che potesse aiutarmi a fare una lettura corrispondente, attraverso i colori, da un punto all’altro. I colori esprimono magnificamente delle tappe che possono parlare a un africano. È vero che bisogna partire dalla conoscenza dei colori, che sono un po’ diversi per me. Il bianco rappresenta tutto ciò che riguarda il lutto, la morte e la sepoltura. Per me, il bianco rappresenta i fantasmi e il regno degli antenati. Ma questo non importa, perché l’incontro di culture, apprese qua e là, mi aiuta a connettermi con l’espressione dei quadri del Maestro. Quindi la prima cosa che mi colpisce, mi parla e mi commuove è il TAU. Ho subito pensato a San Francesco d’Assisi. Come una destinazione, ma allo stesso tempo si riferisce a un viaggio verso la scala di Giacobbe, una contemplazione della croce. Un viaggio è una destinazione e un inizio, una partenza. Una destinazione verso il Dio della gloria, certo, ma anche il Dio che cammina con i più poveri. Dove abita il Dio dei poveri in questa immagine mi rimanda a dove abita il povero? E ho visto subito nel mondo dove abitano i poveri che non hanno una pietra per appoggiare la testa. Attraverso ombre e luce, ho percepito il cammino del mondo, occidentale, africano e forse di tutti gli altri che sono sui sentieri del mondo verso il TAU della Gloria e con il loro TAU di sofferenze, prove… Per me, il verde nei suoi toni è la tensione di uno sguardo di speranza che va dalla consapevolezza delle ombre alla luce che sta sopra. Una crescita, un’emergenza. Volti che muoiono di benedizione in benedizione, attraverso colori spenti e vivaci. Dov’è Dio? è la domanda del cuore dell’uomo e della donna. Ecco l’esplorazione di questa domanda apparentemente ingenua da cui emerge un certo volto di Dio al centro del quadro. È nei templi, nelle sinagoghe e nelle moschee? Una prefigurazione di un’immagine? Un idolo? Come quegli dei dell’Olimpo, gli dei del sole degli Incas, gli dei egiziani che risplendono come faraoni? Vivere in mondi sacri? Questi dei modellati da mani umane? Per essere posseduto e appropriato, come il vitello d’oro? No, per me il quadro del Maestro si riferisce ad un’altra realtà, un Dio senza fissa dimora. Un Dio che ha piuttosto un sogno, il sogno di costruire una casa di cui l’uomo è il beneficiario. Un lungo viaggio di Dio con l’uomo, di Dio per l’uomo… di Dio nell’uomo. Dio, che sogna una casa, comincia con l’impostare la scena, un giardino che accoglierà l’uomo. Il quadro del Maestro, nella sua interezza, è questo. Una visione di un’eternità che si rivela poco a poco. Un Dio agricoltore che pianta un giardino, non per se stesso, ma per l’uomo e la donna ! Un giardino dove abita con gli uomini, incontrandoli nella brezza pacifica del giorno. Ma ahimè, uno di questi giorni, l’uomo e la donna afferrano più acutamente i passi di Dio. Hanno trasgredito il comandamento… si sono nascosti a questo Dio abituale, dietro gli alberi, nel giardino che ha piantato per fare e sostenere l’uomo. Dove sei? La questione di dove abita Dio si trasforma in dove abita l’uomo? La comunione è rotta. Qui inizia il lungo cammino della ricerca della “casa comune”, dove Dio avrebbe abitato con l’umanità. La terra è diventata la casa del crimine: di Caino e Abele; di Giacobbe che fugge da suo fratello, deciso a ucciderlo. Una fuga disperata che porta l’uomo sempre più lontano dalla sua terra, dalla sua casa e dalla sua famiglia. L’immagine cambia poi ambientazione: il sogno di Dio diventa il sogno di Giacobbe; una scala tra il cielo e la terra, con angeli che salgono e scendono. Una scala che cerca di illuminare il dramma della negazione dell’uomo alle promesse di Dio: la terra benedetta, abbondante di frutti, che si estende da est a ovest, da nord a sud. Una prole benedetta e innumerevole e la sua stessa presenza che è tutta una benedizione. Così, torniamo al momento in cui tutto sembra inimmaginabile, colori spenti qua e là in questo magnifico quadro, circondando scene in aumento verso il TAU. Realizzazioni di Dio che arrivano in modi inaspettati e sconosciuti. Questa è la “casa di Dio”, la casa comune della famiglia da cui l’uomo spaventato fugge disperatamente. Dio abita le nostre ansie, le nostre paure e le nostre aspettative? Immagine di una scala, di una ricerca? Percezione di un invito? Di un recupero della comunicazione? Non sarebbe “L’Eternita” la casa dove il cielo e la terra si toccano? E con Mosè, non consuma, non distrugge come un fuoco? “L’Eternita” non è un luogo di esclusione dove è “o Dio o l’uomo”. La pittura del Maestro mi rimanda a una circolazione di energia e di calore dell’acqua che non brucia l’uomo, una “terra diversa” un SUD a cui l’uomo non è abituato né conosce. Una “terra che non è possesso, né conquista”. Il luogo di una chiamata alla vita, il luogo di una missione da cui si parte senza perdere la propria personalità. Più tardi, questa casa prende la forma di un camper nel deserto, mobile, fragile, una TENDA, una PRESENZA, un INCONTRO, una SOLIDARIETÀ, una CONDIVISIONE della condizione umana. Infine, questa immagine è la casa di Dio, fuori dai templi, fuori dalle moschee. Dio disse a Davide: “Non puoi costruirmi una casa”. Ti costruirò una casa”… La casa di Dio è nella strada, nell’uomo che sta sotto un ponte… che attraversa i mari su una zattera, che rischia la vita in beni ed esclusioni di ogni tipo. Che l'”Eternita” del Maestro Giuseppe, portando la speranza di trovare finalmente un rifugio, lenisca le nostre anime torturate dall’altro. Questo dipinto è uno splendore! Quando guardai di nuovo il dipinto per la terza volta. Ho percepito come un calice, a destra, in basso. Il Calice dai colori blu abbaglianti, che provocano l’occhio alla purezza delle forme, aggrovigliato in toni che lo discutono alla miscela di un’idea, un sogno, una poesia, un sogno. Un poema profetico e un sogno che emerge dall’interno del Calice, una leggera visione di una ricerca dell’intreccio dei popoli, della natura, venendo a mettersi in comunione con questa offerta fatta? Calice dei doni di più mondi, Calice dato e ricevuto? Questo ricettacolo mi impregna dell’amarezza degli egoismi dell’umanità narcisista tanto quanto delle dolci gioie della condivisione dello spazio e del tempo tra le creature. Un calice, dunque, modello di un fervente artigiano, da cui si sente la fatica del lavoro ma anche la gioia del gioiello. Vaso della speranza della natura, dell’uomo, di Dio, nei tormenti frantumanti di offrire il bello, il buono, il vero, ancora macchiato da sofferenze, paure… emozioni contrastanti, nel Cuore di un Universo, caldo, freddo nella sua circolazione. Vaso sacro, come la madre terra, al tempo stesso ricettacolo e nutrice, che celebra i suoi figli e festeggia, fino alla consumazione dei tempi ! O Dio ! Chi ha immaginato una tale armonia di colori udibili e canti visivi? Chi allora ha sognato un sogno come il mormorio dell’arcobaleno? Da quali fonti nasce “ETERNITÀ”? Sublime !