“Le Forme della Memoria”
Lei Beatrice, io Dante, la galleria in via Beatrice Cenci, quale migliore combinazione astrale…
Dopo avere studiato come restauratrice, Nadia Fanelli ha lavorato su opere antiche con una forte valenza estetica, finché non si è trovata a essere pittrice. L’esperienza sull’arte del passato e la passione per pittori come Guido Reni e Jan Vermeer, sono restati comun- que a governare, dietro le quinte, il suo sguardo sulla realtà e il suo modo di mettere in atto la dimensione spettacolare della visione, di portarla su un piano di mirabile raffinatezza com- positiva. Come nei suoi maestri seicenteschi, l’uso eccitante e dinamico della luce, del colore, degli schemi compositivi, è al servizio di uno sguardo che si allontana da un tempo reale. L’artista si pone in una dimensione lontana da cui potere guar- dare con occhi diversi il presente, oggetto del suo sguardo, in maniera da poterlo per- cepire con la massima chiarezza. Var- cata la soglia magica dell’apparenza, si mette in moto un in- cessante processo di sedimentazione di visioni, esperienze, emozioni, che vanno a costituire dentro di lei depositi segreti di ‘forme della memoria’. Qualcosa che mette in dubbio la na- tura della realtà, ed è, forse, anche per questo che i suoi dipinti lasciano affiorare sulla superficie una bellezza inquieta, malin- conia che si risolve in una spinta che la disallinea dalla migliore tradizione dell’arte visiva contemporanea.
Tra i suoi maestri ideali non ci sono soltanto artisti, altrettanto im- portante è il sociologo polacco di origine ebraica Zygmunt Bauman, teorico della “società liquida”, alla quale attribuisce, tra le altre cose, un individualismo sfrenato, che ha infragilito le basi della mo- dernità e ha cancellato ogni punto di riferimento, per cui tutto alla fine si dissolve in una sorta di liquidità. Nadia Fanelli avverte pro- fondamente questa condizione della società contemporanea ma non esprime giudizi, piuttosto attribuisce un valore maggiore alla su- perficie dei suoi quadri su cui si deposita l’immagine labile di un mondo che ha temporaneamente smarrito le certezze. La superficie dei suoi dipinti è dunque solida, incontaminata, dimensione senza misura. È uno specchio adamantino in cui si riflette la società –Nar- ciso, che desidererebbe trovarvi la prova della sua umanità, della sua forza, invece deve ingaggiare un faccia a faccia ravvicinato con la sua immagine fratta, che si diluisce, galleggia come un miraggio sullo schermo del dipinto. La sua pittura è occultata in una visione che si rinnova costantemente, sia per cromatismo che per spessore materico, che muta a seconda del punto che si osserva; si rende esplicita attraverso allusioni e svelamenti, fra il visibile e l’imma- ginabile, spingendo lo spettatore a vedere più in profondità. Bipo- lare è la coniugazione di fasi alterne, miste e differenti, chiare e leggibili sulla superficie della tela, producendo un risultato sorpren- dente, che appaga e induce a ritornare con lo sguardo sulla visione pittorica per farla propria.
Dunque, la mia impressione è che Nadia Fanelli pur non essendo nata pittrice, è audace nel cogliere con intelligenza la visione del mondo esterno per appropriarsene. È pronta alla sfida. Determinata a superare l’archetipo pittorico realizzando una pittura formidabile e travolgente, usando un linguaggio unico di linee e di colori. Così prosegue sul suo cammino, con un futuro sicuramente luminoso che le auspichiamo soprattutto grazie all’originalità e alla comples- sità della sua invenzione. Giunti a questo punto, non mi resta che ricordare quanto diceva Gino De Dominicis: è l’imprevidente spet- tatore a esporsi allo sguardo dell’opera, non viceversa.